La nostra passeggiata notturna
tra gli eterni puntini luminosi del cielo
continua con questa famosissima costellazione
che alta nel cielo nel periodo invernale,
per la sua caratteristica forma di W o di M capovolta,
sostituisce l’ormai bassa Orsa Maggiore
nell’individuazione della Stella Polare.
Cassiopea, secondo la mitologia greca,
era moglie di re Cefeo e regina d’Etiopia.
Vantando una bellezza superiore a quella delle Nereidi
finisce nel mettersi nei guai, quando quelle
grazie all’aiuto di Poseidone, dio del mare,
possono vendicarsi con un mostro marino
inviato verso le coste del regno etiope
perchè ne divorasse tutti gli abitanti.
Un oracolo svela ai due regnanti come
l’unico modo di placare l’ira del mostro
fosse quello di immolare la loro giovane figlia Andromeda.
E così, non avendo altra scelta, i due genitori
fecero legare la ragazza ad uno scoglio lungo la costa
come unica vittima sacrificale
in cambio della salvezza dell’intero regno.
Fortuna vuole però, che il valoroso Perseo
in groppa al favoloso cavallo alato Pegaso
si trovasse a passare da quelle parti
proprio nel momento in cui l’animale stava
per afferrare la povera vittima tra le sue fauci
riuscendo a capovolgere l’esito della storia.
Ucciso il terribile mostro e liberata la bellissima Andromeda
Perseo finisce per innamorarsene perdutamente
anche se, come succede spesso nella mitologia greca
solamente per un breve periodo …
La cosa più straordinaria di questo mito
è che a differenza di molti altri
che riguardano le costellazioni moderne,
è quasi interamente disegnato nel cielo,
essendo infatti, tutti e sei i personaggi principali dell’aneddoto
visibili e vicini tra le costellazioni invernali.
Eppure, tornando alla sola Cassiopea
e alle stelle principali che la disegnano
scopriamo che solo 3 di esse ereditano nomi
che hanno a che fare con questo mito.
Nalla tradizione degli atlanti stellari,
la regina vanitosa veniva solitamente rappresentata
seduta su un grande trono, e così troviamo:
Shedir o Schedar da «al-Sadr» «il petto»;
Ruchbah, da «rukbat dhat al-kursiy»
«il ginocchio della signora della sedia»; e
Marfak, da «mirfaq» «il gomito» …
perché, come si può facilmente dedurre
erano i punti in cui nel disegno della costellazione
cadevano rispettivamente sul petto,
sul ginocchio e sul gomito della regina.
Tutti nomi, quindi, derivati da quella tradizione araba
che aveva adottato e adattato i nomi delle “proprie” stelle
a quelli di una costellazione di tradizione greca.
Fortunatamente però
un nome ancorato a quella tradizione araba
ancora incontaminata è rimasto: ed infatti troviamo
Caph, dall’arabo «al-kaf al-khadib» «mano tinta di Henna».
Le cinque stelle più luminose della costellazione, insomma
rappresentavano le dita della mano destra di Thuraya,
una personificazione femminile delle Pleiadi,
che come tutte le donne di quella specifica cultura,
avrebbe usato l’arbusto spinoso dell’Henna
per tingersi la pelle delle mani.
Tradizione che sorprendentemente
è ancora viva tra alcune culture orientali,
dove con tatuaggi temporanei, chiamati mehndi
le donne usano decorarsi le mani e i piedi,
proprio come faceva Thuraya secondo il mito.
(purtroppo famosi pure per irritazioni cutanee
che spesso procurano).
La figura di Thuraya, le Pleiadi,
era così importante nella tradizione araba
che molte altre stelle che prima disegnavano l’asterismo
conservano ancora oggi il loro nome originario
legato appunto a quella rappresentazione del cielo:
quasi tutte le stelle del Perseo ad esempio,
ma anche la terza stella più luminosa della Balena,
Kaffaljidhmah da «al-kaf al-jadhma’» «mano amputata»,
quella che era la mano sinistra della donna,
che per qualche strano aneddoto mitologico ormai andato perduto,
o semplicemente per la necessità di conformarsi agli astri del cielo
era amputata, corta, piegata …
Accanto all’affascinante eredità dei nomi greci ed arabi,
nella costellazione sono presenti almeno due stelle
che hanno invece un’origine completamente ignota:
esse ereditano infatti i termini che Antonín Bečvář
nel 1951 utilizzò per identificarle nel suo Atlas Coeli,
e che successivamente sono divenuti di uso comune
a causa di pubblicazioni successive che li hanno utilizzati
seppure del tutto “costruiti” dall’autore.
Ed infatti: Achird, la più famosa doppia della costellazione
e Segin, il cui nome sembra una variante del Seginus
termine associato alla costellazione di Boote,
pare non abbiano alcun significato particolare.
Restano solamente due stelle
che ereditano invece un nome dalla tradizione cinese:
Tsih, «frusta», una delle stelle più luminose
a non aver ereditato un nome latino o arabo;
e infine Foo Loo «sentiero secondario/ausiliario».
Eccoci giunti alla fine!
Cassiopea: poche stelle, una manciata di nomi,
ma tante storie eterne dietro il loro significato.
Cieli colorati!!!