Il gesuita italiano Benedetto Sestini fu l’astronomo assistente alla Specola del Collegio Romano che nel 1843, all’età di 27 anni ebbe la “folle” idea di osservare tutte le stelle più luminose della volta celeste al fine di descrivere le loro sfumature colorate !
L’ispirazione gli venne dalla pubblicazione di Christian Doppler dell’anno precedente “Sulla luce colorata delle stelle doppie e certe altre stelle del cielo”, in cui l’autore sosteneva che la causa delle variazioni cromatiche – osservate soprattutto nelle stelle doppie – trovasse spiegazione semplicemente nel
«movimento del corpo luminoso, o quello del corpo illuminato, o quello dell’uno e dell’altro insieme».
B. Sestini, On the colors of the stars,
Astronomical Journal n.12 pag. 90.
Molti osservatori di buona fama come Herschel e Struve continuavano a descrivere in modo differente il colore di alcune delle stelle doppie più famose! Notizie si avevano addirittura già dall’antichità come a riguardo della luminosissima stella Sirio che Tolomeo, Seneca ed altri descrissero di colore rosso quando tutti la vedono invece di colore azzurrognolo:
«Chi sa dirmi se il cambiamento che fu avvertito in questa bellissima sia avvenuto anche ad altre o più piccole o meno risplendenti e quindi passate senza che alcun le avvisasse? Io certo non sono lontano dal credere che se Tolomeo ci avesse tramandati i colori di più altre, in più altre vedremmo il fenomeno di Sirio».
B. Sestini, Memoria, pag. V; 1845.
Il suo scopo allora era quello di costruire uno «strumento permanente» che permettesse di notare eventuali variazioni nella colorazione degli astri della volta celeste e che aiutasse finalmente a capire la legge che le causava.
Intraprese così un primo tentativo dedicandosi esclusivamente alla costellazione della Lira e attraverso una Nota scritta nello stesso anno condivise i risultati con tutti i suoi colleghi.
Il suo obiettivo però era molto più grande: decise infatti di osservare i colori di tutti gli astri posti fino a 30 gradi di declinazione australe contenuti nel più recente catalogo stellare dell’epoca, quello dell’astronomo inglese Francis Baily del 1825 che conteneva con molta precisione 2881 tra gli astri più luminosi dell’intera volta celeste!
Consapevole della difficoltà di percepire e di descrivere oggettivamente il colore delle stelle, portò il lavoro al termine grazie all’aiuto di Ignazio Cugnomi e di Antonio Gross.
Le difficoltà erano molteplici, anche perché prima di dedicarsi al colore delle stelle, bisognava distinguere e selezionare tra le stelle visibili nell’oculare solo quelle contenute nel catalogo di Baily così da non distogliersi dall’obiettivo prefissato.
Dedicarono inoltre molto tempo ad allenare gli occhi a saper individare il colore degli astri, descrivendo e confrontando i loro pareri anche su stelle puntate a caso, rimandando e ripetendo le osservazioni nel tempo e – quando i dubbi persistevano – descrivendo l’astro con il colore mediano.
Oltre ad allenarsi con le stelle vere, trovarono il modo di farlo anche con quelle “artificiali”:
«l’artifizio prescelto per ottenere insieme luce viva e diversità di colori, fu di far penetrare nella camera oscurata un raggio solare rifratto dal prisma, ed immergere quindi nei vari raggi colorati piccole palline di cristallo od argentate, affinché viste da una certa distanza incontro ad uno sfondo abbastanza tenebroso e collo spettro nascosto, potessero produrre l’effetto medesimo delle stelle».
Memoria Seconda, pag. 8; 1847
Allenamento basato sulla consapevolezza dell’impossibilità di riuscire a rinchiudere in pochi termini tutte le infinite sfumature visibili negli astri:
«avverrà di osservare talvolta quattro o sei stelle, poniamo, gialle, ad esempio, né ve ne ha forse una colorata appunto come l’altra, come avviene bene spesso ancor negli oggetti che qui sulla terra si osservano: essendo per es. altro il giallo dello zolfo, altro quello dell’ambra, altro quello dell’oro, […] ma specialmente una varietà di tal genere quasi infinita l’abbiamo nei fiori sparsi da Dio sui nostri campi».
Memoria, pag. IX; 1845.
Era solo il 1845 quando il Sestini riuscì a pubblicare una prima Memoria sopra i colori delle stelle del catalogo di Baily, contenente la descrizione cromatica dei 624 astri posti al di sopra dell’equatore celeste e compresi tra la 12° e la 24° ora di A.R.: praticamente la metà del cielo boreale!
Gli astri furono tutti osservati nei tre mesi estivi del 1844 attraverso il rifrattore Cauchoix di 2380mm di focale e 169mm di diametro, ancora oggi conservato nell’Osservatorio di Monte Porzio Catone a Roma e di cui recentemente è stato anche ritrovato l’obiettivo originale!
Ma ancora di più, con un brillante lampo di genio, li ha tutti riportati su dodici carte stellari costruite ad hoc, in cui ogni stella era contrassegnata in base al colore che mostrava!
Mai prima di allora nessuno si era dedicato sistematicamente all’osservazione del colore delle stelle, e mai prima di allora nessuno aveva costruito mappe del genere:
«sebbene il fatto dei colori sia osservazione ormai notissima e dagli Herschel singolarmente e da Struve più volte ripetuta, non però ch’io mi sappia, sonsi finora da alcuno, di tali stelle formate mappe nel modo e diversamento da noi tenuto. Si hanno con tal mezzo tutte insieme sott’occhio».
Memoria, pagg. III-IV; 1845.
«A parecchi dispiacerà la poco uniforme distribuzione delle stelle, specialmente riguardo alle carte polari per numero poverissimo. Per renderle uniformi avrei dovuto scegliere altre stelle fuori dal catalogo di Baily […] senza più attenermi a quel tanto che mi era prefisso».
Memoria, pag. VIII; 1845.
Le 12 tavole insieme alla prima Memoria rappresentavano tuttavia solo una prima parte del lavoro che trovò invece conclusione nel 1847 con la Seconda Memoria intorno ai colori delle stelle del catalogo di Baily, dove oltre a riportare fedelmente la descrizione cromatica di tutti i 2540 astri del catalogo di Baily al di sopra dei 30° di decl. australe, arrivò a contarne addirittura 2881, perché diversamente da quanto promessosi, tra un’osservazione e un’altra, catturato dalla bellezza di alcuni astri, non riusciva a fare a meno di descriverne le sfumature:
«Così per una del sagittario […] e così per altre parecchie le quali si presentano nel telescopio corteggiate da numerose compagne. […] Ogni altro forse avrebbe fatto lo stesso […] allorquando incontrando cosa impensata o non molto frequente, è reso attento e compreso dallo spettacolo che gli si para davanti».
B. Sestini, Memoria Seconda, pag. 5; 1847.
Con la Memoria Seconda Benedetto Sestini è riuscito letteralmente a dare colore al cielo stellato!
Se prima di lui infatti la volta celeste era in “bianco e nero”, ora egli lo poteva finalmente descrivere così:
«Le [stelle] gialle sono presso a poco la metà delle osservate, più o meno cariche nella tinta, più o meno miste ad altro colore. […] Non così possiamo dire degli altri colori, poniamo del bianco. Il numero di stelle di tal colore paragonato al totale è presso a poco un quinto […]. Lo stesso, benchè con divario minore, dicasi delle stelle arancie, il numero medio delle quali è un po’ superiore alla quinta parte del totale […]. Delle rosse poi e delle azzurre havvene molto poche. […] Posso inoltre render ragione del non avere se non in rarissime volte trovate le stelle di color verde, e sono quindi di parere che alquante stelle azzurrognole e più facilmente le gialle-azzurre che si trovano nel catalogo siano piuttosto verdi».
Memoria Seconda, pagg. 6-7; 1847
Purtroppo però, pur posticipando la pubblicazione, non riuscì a completare il resto dell’atlante. E neppure successivamente:
«Io non dubito e d’intramprendere e di condurre a fine questo lavoro che ora compisco di pubblicare, sebbene non come avrei desiderato unito alle ventiquattro altre carte che sarebbero da aggiungersi, e che non posso […perché] sprovveduto di bastevoli mezzi per la loro pubblicazione».
Memoria Seconda, pag. 4; 1847.
Per cui ciò che ci resta oggi è solamente un terzo del lavoro totale: il fascicolo primo delle 36 tavole previste, diversamente da come già riportava il frontespizio del 1845 “Stelle del catalogo di Baily dal polo boreale fino a 30° di decl. australe contrassegnate secodo i loro diversi colori, osservati nella Specola del Collegio Romano”, scritto probabilmente in vista della conclusione dei lavori!
Il fascicolo a seguito di una mia semplice richiesta, fu inserito online nel portale digitale del Museo Galileo.
Solo recentemente la Georgetown University Library ha digitalizzato molte opere del Sestini: tra i vari documenti, oltre all’intera Memoria Prima e al fascicolo delle dodici tavole dell’Atlante, è presente finalmente il manoscritto del suo catalogo che tanto cercavo!
Ancora oggi pero, in tutti gli archivi italiani il fascicolo delle 12 mappe, non solo non è catalogato con la Memoria del 1845, ma non è neppure associato a Benedetto Sestini quasi come se non se ne conoscesse l’autore!
Ciò significa che per trovare un archivio che lo conservi, bisognerà cercare il titolo presente sul frontespizio senza però procedere attravero una ricerca per autore che parta dal presupposto che sia il Sestini!
Questo silenzio tuttavia è tutto “nostro”, perché negli archivi americani, come appunto quello della Georgetown University e come quelli della Yale e della Columbia University, non solo le mappe sono associate chiaramente a lui, ma sono anche catalogate assieme alla Memoria del 1845 apparendo quindi come un testo unico!
A causa dello scioglimento delle congregazioni religiose del 1848, Sestini, insieme a molti altri tra cui Angelo Secchi, fu costretto a trasferirsi al Georgetown College di Washington, dove però ebbe la possibilità di continuare le sue osservazioni sui colori stellari proprio con lo stesso strumento che aveva a Roma!
Decise così di osservare nuovamente circa 400 astri del suo personale catalogo così da verificare se:
«i diversi stati dell’atmosfera possono essere annoverati tra le cause de’ i colori differenti che le stelle ci mostrano».
Salvo cinque eccezioni, non trovò significativi cambiamenti:
«ciò però deve intendersi riguardo alle stelle semplici, perché invece le stelle doppie di rado furono trovate conservare i medesimi colori».
E così in un articolo pubblicato sull’Astronomical Journal confrontò le descrizioni cromatiche di queste doppie colorate con quelle fatte di recente dall’ammiraglio W. H. Smith spiegando le palesi variazioni cromatiche venute fuori proprio con le potesi formulate dal Doppler nel 1845 per il quale, come già detto, i differenti colori stellari erano causati esclusivamente dai moti tra un astro e il suo osservatore, – tendenti al rosso se in allontanamento e all’azzurro se in avvicinamento – e quindi anche dal semplice movimento di rivoluzione di un astro attorno ad un altro, come appunto avviene nelle stelle doppie.
On the colors of the stars,
Astronomical Journal.
A Georgetown la sua fama crebbe anche come artista, come testimonia il dipinto ad inchiostro di china che ricopriva interamente il soffitto della Woodstock Library, successivamente denominata Sestini Hall,
dove ha riprodotto il Sistema Solare in scala sia nelle distanze che nelle dimensioni, con la presenza dei satelliti, degli asteroidi e dell’orbita delle comete più luminose, lo zodiaco e tutte le stelle della volta celeste visibili ad occhio nudo, riportate tutte nelle loro esatta posizione!
Qui la sua descrizione.pdf
Dopo che i Gesuiti ebbero venduto la struttura allo Stato, il Woodstock College divenne nel 1974 un job training center; e purtroppo finora ancora nessuno mi ha saputo dire se quel soffitto esista ancora!
Le cronache dell’epoca raccontano che le distanze tra gli astri lì riportati erano così conformi alla realtà che una volta…
«the artistic eye of Br. Daniel Mason, who was an expert in painting barns, and could even spread a uniform coat of paint over doors, shutters and window sashes, but who was not a technical astronomer, was offended by the lack of decoration in spaces where the color scheme called for emphasis. So one day, when the artistic mood was irresistible, he seized a brush and painted a star of double the first magnitude where the most pronounced vacancy existed. Fr. Sestini was thunderstruck at the discovery of the Nova on the ceiling, and on investigation found his coadjutor, and explained to him that it was inconsistent with truth to depict stars where stars did not exist».
Woodstock Letters, Volume LVI, n.1,
1 February 1927, pag. 19.
Un po’ per le sbagliate ipotesi del Doppler circa la mutazione dei colori stellari a cui Sestini sembrava dare tanto credito, ma ancora di più a causa del “disordinato ordine” in cui erano presentate le stelle nelle due Memorie, essendo riportate infatti non secondo l’ordine del catalogo di Baily, ma in 36 tabelle che rispecchiavano le rispettive Tavole delle mappe stellari …
l’opera di Sestini venne praticamente dimenticata, tanto che già Franks, il secondo astronomo che nel 1884 si occuperà sistematicamente dell’osservazione cromatica degli astri, nel suo primo catalogo sui colori delle stelle non lo citerà neppure!
Non poco avrà giocato a sfavore anche il forzato esilio negli Stati Uniti nei mesi immediatamente successivi alla pubblicazone della Memoria del 1847, come appunto sembrano suggerire le sue stesse parole del 19 marzo 1849, indirizzate all’Ammiraglio Smith dall’esilio a Georgetown:
«L’espulsione e l’esilio immeritati che io e i miei fratelli abbiamo sofferto, m’hanno obbligato a lasciare quasi ogni cosa, così le copie stampate della piccola Memoria sono rimaste nelle mani del tipografo, dove penso che ancora siano. Fortunatamente, un po’ di tempo fa, trovai alcune copie in un baule inviatomi dopo la morte del nostro caro De Vico. Perciò ti spedisco ora ciò che non ho potuto inviarti prima».
Benedetto Sestini ad Admiral Smyth,
in Sideral Chromatics, 1864.
Solo agli inizi del ‘900 J. G. Hagen S. J. l’allora direttore all’Osservatorio del Georgetown College, scoprendo nella biblioteca del Collegio il manoscritto del catalogo dei colori stellari del Sestini, decise di salvare la memoria di quest’uomo dall’oblio riosservado da Roma tutte le stelle lì presenti, e pubblicando nel 1911 “Colori Stellari, osservati a Roma negli anni 1844-1846 da Benedetto Sestini” dove il catalogo viene ripresentato in un formato di lettura molto più semplice!
«Ogni dubbio circa l’opportunità di una riproduzione cessò, quando lo scrivente, sotto il bel cielo di roma, potè assicurarsi dell’alto grado di evidenza che qui raggiungono i colori propri delle stelle».
Hagen, Colori Stellari, Prefazione; 1911.
Dopo oltre un secolo allora, il progetto delle COSTELLAZIONI a COLORI, quasi involontariamente, rispolvera la storia e le opere di quest’uomo, che con la sua grande passione ha saputo letteralmente colorare il cielo stellato!
Si ringraziano
Il Museo Galileo
La Biblioteca Passerini-Landi,
La Georgetown University Library
e il dott. Aldo Altamore.