Spulciando la corrispondenza galileana, ci si imbatte sempre in qualche particolare capace di suscitare interesse: oltre alle annotazioni pervase dallo stupore di chi sa di osservare per la prima volta al mondo ciò che sta guardando al telescopio, è bello scoprire che accanto alla Luna e ai pianeti, ci sono altri oggetti celesti, spesso poco considerati, che nascondono dietro di essi una storia che li vedeva veri protagonisti della rivoluzione copernicana.
Neppure siamo abituati, ad esempio, al fatto che spesso, tali novità non riguardano direttamente Galileo, ma le persone a lui molto vicine. E’ il caso, ad esempio, di Benedetto Castelli, suo fedele amico e discepolo, ancora troppo poco famoso per essere stato, il primo ad osservare e scoprire l’esistenza di una stella doppia: la famosa Mizar nella coda dell’Orsa Maggiore.
Il suo interesse verso quella zona di cielo si accese intorno al 1616, quando si accorse che attraverso il telescopio era possibile osservare una terza stella tra Alcor e Mizar. Ecco infatti cosa scrive il 16 novembre di quell’anno:
“Ho osservato di novo la costellazione della prima delle tre stelle nella coda dell’Orsa maggiore post eductionem caudae (dopo il prolungamento della coda), e mi è parsa tale la constituzione con quella che se li vede vicinissima con la vista naturale e quell’altra visibile solo con l’occhiale: quella notata A è la prima delle tre etc.; quella notata B è la vicina etc.; e finalmente quella notata C è la visibile con l’occhiale. Ma se mal non mi ricordo, questa estate, a Bellosguardo la C era talmente situata con l’altre due, che in lei si formava un angolo retto, tirando le linee dalla C alla B et A”.
Dal disegno fatto e dalle parole che scrive, si evince che la stella di cui parla non è in realtà la compagna di Mizar, ma un altro astro di ottava magnitudine che alcune decine di anni dopo per ben altri motivi, salirà alla cronaca col nome di Stella Ludoviciana …
Ma ormai ci siamo: pur non essendo ancora avvenuta, la scoperta della duplicità della stella é ormai dietro l’angolo.
Ed infatti, passeranno solamente poche settimane, perchè possa finalmente raccontare all’amico Galileo, in una lettera datata 7 Gennaio 1617:
“Desidererei che V. S. Ecc.ma, concedendoglielo la sanità, una sera desse un’occhiatina a quella stella di mezo delle tre che sono nella coda dell’Orsa maggiore, perché è una delle belle cosa che sia in cielo, e non credo che per il nostro servizio si possa desiderar meglio in quelle parti”.
I due amici, come si può facilmente capire, non erano alla ricerca di stelle doppie semplicemente per la loro bellezza estetica. Essi avvevano infatti intuito come questi astri si prestassero ad essere la prova cruciale per il “servizio” di cui parla Castelli, e cioè la possibilità di dimostrare la teoria dell’eliocentrismo in modo definitivo: se infatti fossero riusciti a misurare la variazione di separazione angolare tra le due componenti di Mizar osservate a mesi di distanza, avrebbero dimostrato che ciò sarebbe dovuto al fatto che la Terra si sia spostata intorno al Sole!
Così Galileo, seguendo il consiglio dell’amico, il 15 Gennaio dello stesso anno osserva la stella propostagli, calcolando non solo la separazione angolare tra le componenti di 15″ d’arco (rispetto ai 14,5 di oggi), ma ancora di più, si spinge fino a midurare il diametro delle singole stelle.
Purtroppo però l’ignoranza dell’epoca sui concetti di diffrazione e di aberrazione delle lenti, lo portò a ritenere che le dimensioni dei dischetti delle stelle osservate, che egli misurò rispettivamente di 6″ e 4″, fossero in rapporto con le loro reali dimensioni. Così, partendo dall’ipotesi che entrambe le stelle, come tutte, avessero un diametro uguale a quello solare, ne calcolò la distanza dalla Terra in 300 distanze solari per la più luminosa e 400 per la compagna …
Dati ovviamente inesatti per l’inesattezza dei postulati.
In base ai valori trovati, infatti considerando la rivoluzione terrestre intorno al Sole, in soli due mesi di distanza, Galileo avrebbe dovuto aspettarsi di osservare le due stelle non solo muoversi, ma letteralmente scambiarsi di posto … così da dimostrare finalmente il tutto!
In attesa allora che il passare del tempo rendesse misurabile il movimento, i due amici continuarono la ricerca di altri potenziali obiettivi.
Ed infatti, come racconta nella lettera del 22 Febbraio, il 30 Gennaio del 1617 Castelli scopre una stella doppia nella costellazione dell’Unicorno, probabilmente Beta Monocerontis:
“é ben vero che havendo ai 30 di Gennaio osservato tra ‘l Cane maggiore e la spalla sinistra di Orione circa ‘l mezo un triangolo e nell’angolo orientale una stella, restai in dubbio, dopo diligente e replicata osservazione, se era una o due; et hora, ritornato alla medesima osservazione, le ritrovo chiaramente due, sicché il gioco si fa”.
Nella stessa lettera, Castelli fa di nuovo riferimento a Mizar, perché, come afferma apertamente, è finalmente convinto solo dopo 46 giorni, di aver notato il tanto atteso movimento tra le due componenti:
“Similmente le due della coda dell’Orsa si sono tra di loro allontanate, se ben poco; ma io che so benissimo come stavano, almeno quanto alla vicinanza tra di loro, non ho dubbio dell’essersi allontanate”.
Galileo allora, non poté che rimettersi al telescopio e confrontare la nuova osservazione con i dati precedentemente raccolti. Ma a differenza dell’amico, non costatò nulla: nessun minimo movimento fu osservato! Le stelle erano perfettamente ferme: quella che poteva essere la prova certa dell’eliocentrismo, non essendosi verificata, sembrava al contrario rivelarsi una prova eclatante a favore del geocentrismo!
E così, pur decidendo di non diffondere pubblicamente questi suoi dati per non dare argomenti a favore ai suoi avversari, non solo continuò a sostenere la teoria eliocentrica, ma cercando l’eventuale errore commesso, continuò anche l’osservazione delle stelle doppie.
Infatti in un manoscritto datato il 4 Febbraio 1617 riporta la sua osservazione delle tre stelle più luminose del Trapezio di theta Orionis (pur non scorgendo la Nebulosa), informando anche l’amico Castelli, il quale sempre nella lettera del 22 Febbraio gli scrive:
“L’osservazione accennatami da V. S. in Orione non m’è riuscita, perché non ho mai ritrovate le stelle che lei mi nota”.
Passano molti anni e ancora li troviamo a parlare di stelle doppie. A 10 anni di distanza, ad esempio nell’estate del 1627, nella lettera del 7 Agosto Castelli da Roma informa l’amico della scoperta della doppiezza di Acrab, Beta Scorpii:
“Ho osservata la stella settentrionale delle tre della fronte dello Scorpione, quale ha una stellina vicinissima, più settentrionale di essa, nella continovazione dell’arco delle tre della fronte, in questa maniera: V.S. mi faccia grazia di scrivermi che gioco doverà fare, movendosi la terra, caso che lei sia assai più lontana dalla terra della altra compagna, visibile con la vista naturale”.
E in ultimo, nel 1632 proprio nel Dialogo sui due massimi Sistemi del Mondo, Galileo proporrà l’osservazione stelle doppie proprio come la prova cruciale a favore dell’eliocentrismo. Questa volta però, pur non facendo capire che già anni prima aveva tentato personalmente il tutto, sottolineerà che bisogna comunque tenere in considerazione oltre all’inesattezza degli strumetni astronomici e dei singoli osservatori anche e soprattutto le distanze delle stelle e le dimensioni dell’Universo che potrebbero rendere appunto il movimento delle stelle infinitesimo e quindi troppo piccolo per essere percepito:
“Vorrei che voi diceste, che quando una tal diversità si scorgesse, niuna cosa resterebbe più che potesse render dubbia la mobilità della Terra, atteso che a cotal apparenza nissun altro ripiego non patirebbe contrassegnar si potrebbe. Ma quando bene anco ciò sensibilmente non apparisse, non però la mobilità si rimuove, né la immobilità necessariamente si conclude, potendo esser (come afferma il Copernico) che l’immensa lontananza della sfera stellata renda inosservabili cotali minime apparenze; le quali, come già si è detto, può esser che sin ora non sieno state uè anco ricercate, o, se pur ricercate, non ricercate nella maniera che si deve, cioè con quella esattezza che a così minute puntualità sarebbe necessaria”.
..Insomma.. quante storie per una manciata di stelle doppie…
Cieli colorati!!
Paolo, mi complimento con te per la chiara esposizione nel raccontare questo pezzo di storia, di cui non ero davvero a conoscenza. Onestamente, non è solo una bella storia , ma è una di quelle che ti lascia in uno stato di riflessione. Mi fa riflettere il fatto che, all’epoca di Galileo, la teoria copernicana aveva dato da non molto uno scossone al mondo, sconvolgendo la percezione del proprio posto tra le stelle. Galileo ha abbracciato tale teoria cercando di provarla con le sue osservazioni. Quando l’amico Castelli, dopo 46 giorni, ri-osservò Mizar, era convinto di aver visto le componenti più lontane tra loro, tanto da scrivere “non ho dubbio dell’essersi allontanate”. Forse Castelli soffrì un pò gli effetti della suggestione, ma Galileo no. Eppure quella sarebbe stata una gran bella prova. Mi colpisce la sua imparzialità che non si lascia scalfire dalla suggestione e voglia di provare qualcosa in cui si crede, specie dopo aver appreso l’entusiasmo dell’amico Castelli. Ecco, questa è una cosa che mi fa riflettere su quanto la scienza debba essere “fredda” per poter essere affidabile e ripetibile e su quanto un uomo debba essere GRANDE per comprendere e poi applicare questa cosa. Forse è “out-topic”, ma mi andava di condividere questo pensiero. Un saluto