Se prendessi una matita e cominciassi a disegnare sulla faccia della #Luna, quanti risultati differenti potrei ottenere?
Innumerevoli, come dimostra l’infinita serie di interpretazioni e di tradizioni che ruotano attorno a quelle #macchie che riempiono la sua superficie.
È quello che ho provato a sintetizzare in un articolo a tre puntate intitolato “Simile ad un volto” pubblicato su #SpazioMagazine, la rivista di astronautica ed astronomia dell’ ADAA.
Partendo dalle varie interpretazioni dei maggiori filosofi dell’antichità, passo all’ambito popolare dove l’aspetto maculato della Luna assume la fisionomia di Volto e le sembianze di un Uomo dai nomi più strampalati, come #Marcolfo, #Caino, #Bertoldo, Stracciacappa, Pier Borsa, #Bazìn, #Silvàn…
Cara Luna […] i nostri fanciulli dicono che tu veramente hai bocca, naso e occhi come ognuno di loro
,dice Leopardi nel Dialogo della Terra e della Luna. Ma già 2000 anni prima Egesianatte parlava di quel Volto riconoscibile nella Luna in un suo esametro:
Tutta intorno splende di fuoco, in mezzo/più blu dello smalto appare come di fanciulla/un occhio e una leggiadra fronte: davanti sembra simile a un volto
Quell’imperfezione sembrava scardinare la teoria della perfezione del cosmo:
mio caro Aristotele, se fatta di terra la Luna si dimostra un oggetto bellissimo nobile ed elegante, mentre temo che in veste di astro o di luce o corpo divino e celeste essa risulti brutta e deforme e macchi il suo così bel nome
… ed in ambito cristiano si traduce in un effetto creatosi al momento della caduta dei progenitori: un aspetto che contribuì ad identificare quell’Uomo esiliato ed immortalato sulla Luna in un rozzo ladro, che pur vestendo i panni di universale monito morale, finiva per diventare un semplice spauracchio per bambini:
Vedo la Luna vedo le stelle vedo Caino che fa le frittelle
o un modo per identificare gli scocchi creduloni troppo p
ieni di sè, come dimostrano numerose espressioni proverbiali ancora oggi diffuse:
“Me pare Marcoffo int’a Luna” o
“Pare Bertoleche ‘m mèzz’ a la luna” o
“Te camini come Salvanèlo su la Luna”
“C’est comme Bazìn ès l’baite”.
Sono solo alcune delle tracce giunte fino a noi delle innumerevoli tradizioni legate all’Uomo nella Luna o alle altre pareidolie lunari, come ad esempio il “Caino e le Spine” citato nelle opere di Dante o il “Caino ed Abele” immortalati nella Luna dell’abside della Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma ed in alcune rarissime edizioni illustrate della Divina Commedia del XIII e XIV secolo.
I mascheroni visibili su alcuni portoni della cittadina di Pomponesco in provincia di Mantova sono l’ultimissima traccia della leggenda dell’ UOMOnellaLUNA lì popolarmente chiamato: il Silvàn nella Luna.
È quanto aveva scoperto Roberto Roda ricercatore del Centro di Documentazione Storica al Centro etnografico ferrarese nel lontano 1998. Negli ultimi mesi ho avuto più volte l’onore di parlare con lo scopritore di quella leggenda “dimenticata sulla porta” così da sapere – ad oltre 25 anni dalla scoperta – le nuove possibili piste capaci di spiegare il “misteroso” motivo che portò ad immortalare il Silvàn sulla Luna sui portoni di Pomponesco.
Il risultato di quel piacevole scambio di parole è diventato – a mo’ di intervista – il terzo ed ultimo articolo dedicato alle pareidolie visibili nella faccia della Luca pubblicato sulla rivista #SPAZIOmagazine dell’ ADAA.
Ringrazio Marcella Giulia Pace, Darya Kawa daryavaseum e la Biblioteca civica Attilio Hortis per le loro splendide immagini che arricchiscono ulteriormente gli articoli.