Quest’anno il luminoso pianeta sarà in congiunzione inferiore a cavallo dell’equinozio di primavera. Per cui mi sembra una buona idea osservare e riprendere la sua piccola falce assieme a differenti fiori, veri protagonisti di questa stagione.
Per l’interazione della radiazione elettromagnetica a differenti lunghezze d’onda e la percezione sensoriale dell’occhio umano il mondo ci appare tutto colorato.
Lo stesso accade osservando i pianeti, ogni singola stella della volta celeste ed in modo mediato con gli altri oggetti del profondo cielo quando immortalati nelle immagini astronomiche.
I meccanismi fisici che si nascondono dietro “lo spettacolo a colori” dello spazio e della realtà che ci circonda ce li spiega Diego Tesauro nel suo ultimo articolo pubblicato per la Società Chimica Italiana
Grazie Diego per aver inserito anche il mio mosaico dei colori di Orione tra le immagini da te selezionate.
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Kaleidocosmo fa da copertina ad un articolo di Larry Sessions dedicato ai colori delle stelle pubblicato su Earthsky.
E tra le immagini che accompagnano il testo c’è anche il mosaico di Orione a colori.
Osservare Venere ad occhio nudo ed in pieno giorno è una sfida troppo bella. Eccola ripresa questa volta tra i fiori rosa di un albero che sembra anticipare la primavera.
L’immagine non a fuoco sembra trasformare quei petali in nuvole rosa.
Tutte le stelle del cielo sono colorate. E se potessimo vedere le pallide sfumature di tutte quelle visibili ad occhio nudo, la volta celeste apparirebbe come un’immensa esplosione di coriandoli colorati.
Ma a ben vedere, accanto alle tante zone con astri dalle sfumature DISordinatamente sparse, ci sono anche zone con astri dalle sfumature molto simili: quando il creatore cominciò a dipingere il cielo, pare si sia lasciato sfuggire alcune gocce di colore sulla volta celeste che, come larghe ed irregolari chiazze cromatiche, hanno finito per maculare la volta celeste di azzurro e di giallo.
É ciò che accade ad esempio in quella zona al confine tra le costellazioni di Orione, della Lepre e dell’Eridano per il BLU; e ciò che si verifica tra quelle della Balena e dei Pesci per il GIALLO come dimostrano in una sola occhiata questi mosaici con un totale degli oltre 200 astri presenti in questi due angoli celesti fino alla sesta magnitudine, fotografati uno ad uno – e volutamente fuori fuoco – così come appaiono attraverso un dobson da 18″.
Strutture e concentrazioni di colori non sempre frutto del caso, ma che rivelano verità fisiche circa la l’età delle stelle, la loro distanza reciproca, la loro posizione nella nostra Galassia e chissà cos’altro. Gran parte di questi astri blu infatti appartengono ad esempio alla cosiddetta Associazione stellare Orione OB1.
Se questi colori fossero stati visibili ad occhio nudo probabilmente le costellazioni avrebbero avuto FORME e CONFINI differenti rispetto a quelli attuali perché sarebbero state sicuramente delineate seguendo anche la DISTRIBUZIONE che questi colori hanno nella volta celeste.
Già William Sadler Franks nel XIX secolo se ne era accorto:
«il colore non è distribuito uniformemente nei cieli, ma tende a raggrupparsi in certe regioni».
E quando con il gruppo di soci della Coloured Section della BAA, la British Astronomical Association si divertì a descrivere le sfumature di tutte le stelle visibili ad occhio nudo, annoverando le stelle AZZURRE tra quelle BIANCHE per il loro aspetto pallido, aggiunse chiaramente:
«le più sorprendenti aggregazioni di colore nei cieli probabilmente possono essere trovate nel Toro e in Orione per le stelle bianche; e nella Balena e nei Pesci per le stelle gialle».
Orione “aureo”
Quelle qui presentate non sono le uniche zone monocromatiche della volta celeste, ma sicuramente sono da annoverare tra quelle più evidenti. Orione in modo particolare salta subito all’occhio perché, per la forma e le luminose stelle che la caratterizzano, è sicuramente la costellazione più bella della volta celeste.
Curiosamente due mila anni fa Virgilio «scorge Orione armato d’oro ( armatumque auro circumspicit Oriona – Eneide 3.517 )»; e lo stesso farà Manilio quando lo definisce «aureo ( Orion aureus – Astronomica 5.723 )».
Dobbiamo forse pensare che nell’antichità le stelle di Orione fossero descritte dalle sfumature gialle? La soluzione ci viene dal brano in cui è tratta la citazione di Manilio. Egli, parlando della moltitudine delle stelle più deboli del cielo, dice:
«immerse nelle vaste profondità del cielo [esse] non brillano né ogni notte né in ogni stagione; ma quando la luminosa Luna devia il suo corso sotto l’orizzonte, quando i pianeti nascondo la loro luce sotto la terra, quando l’aureo Orione ha immerso i suoi fuochi splendenti […] allora queste stelle brillano nell’oscurità e le loro fiamme accese perforano l’oscurità della notte. […] La loro abbondanza non cede ai fiori del campo o ai granelli di sabbia sulla riva tortuosa dell’Oceano; ma come tante sono le onde che cavalcano in infinita processione sul mare, come tante sono le miriade di foglie che cadono e svolazzano giù nei boschi, più numerosi ancora di questi sono i fuochi che circondano i cieli».
Manilio insomma, nel descrivere Orione dice che è così brillante che, quando è sopra l’orizzonte, come la Luna e i pianeti, offusca la luce delle stelle più deboli che abitano la volta celeste. E per farlo lo definisce “aureo”, un termine che non va inteso quindi nel senso di “dorato”, quasi come se le sue stelle fossero di tale sfumatura, ma nel poetico significato di “luminoso”, come chiarisce lo studio di Laura Sacchetti:
[ i termini ] auratus e aureus nel significato di luminoso non sono rari in contesti astronomici, specialmente in tono elevato; sono di uso prevalentemente poetico ( implicano la metafora splendore dell’oro = luce ) e possono riferirsi a una costellazione qualsiasi, al Sole e alla Luna, al pianeta Venere. Manilius stesso usa aureus per il Sole, per il Cigno, Andromeda, Orione […] Dunque non si tratta di una metafora originale
Sacchetti L., La luminosità del cielo e degli astri negli Astronomica di Manilio, osservazioni terminologiche e stilistiche).
Parafrasando le parole degli illustri del passato allora, oggi possiamo poeticamente affermare che le poco auree Balena e Pesci sono chiaramente gialle; e che l’AUREO Orione è di colore BLU e blu sono anche molte stelle che circondano il suo piede destro.
The Golden Orion
Magnificent concentrations of blue and yellow stars in the sky: Orion and Cetus constellation and their neighbours.
Mosaics with all their stars up to magn. +6. Over 200 single shots taken out of focus to better see their nuances.
🌕 La prima #Luna Piena dell’anno era sorta insieme a #Marte; ma è solo poco prima di tramontare che si sono quasi sfiorati: se in alcune parti del mondo hanno potuto assistere all’occultazione, anche una congiunzione così stretta è carica di fascino.
Eccoli come apparivano al telescopio nelle ultime ore della notte; ed eccoli – oramai più lontani – tra i colori della Cintura di Venere e dell’ombra della Terra.
Al telescopio anche ad alti ingrandimenti erano visibili entrambi contemporaneamente nel campo dell’oculare: una porzione di Luna ed il disco arancione del pianeta, con la sua calotta polare ed i colori diversi della sua superficie.
🙃 Il loro incontro rivela inoltre un fatto importante: un pianeta è cosí vicino alla Luna Piena o sorge e tramonta nella Cintura di Venere solo quando è vicinissimo alla sua #opposizione. E all’alba di quella notte c’erano entrambe le situazioni.
Osservarli e riprenderli in quel momento allora è uno dei modi piú belli per osservare e dire con un solo scatto: “Marte è nuovamente in opposizione”.
Se con i Giganti gassosi accade ogni anno, tra i pianeti rocciosi solo Marte può sorgere e tramontare assieme alla Luna e solo una volta ogni due anni
🔴 Ecco invece Marte ripreso circa una settimana fa mentre attraversava il campo dell’oculare del dobson da 18″ a 404 ingrandimenti, una sera con seeing particolarmente favorevole. Numerosi i dettagli percepibili in visuale, a partire dalla calotta polare nord e dalle nubi di colore bianco visibili sui bordi, il Mare Acidialum ed il Mare Erythraeum di colore marroncino e l’Arcadia di colore arancione.
La visione è stata ovviamente favorita dalla minima distanza – da due anni a questa parte – di questi giorni e che lo porterà a circa 96milioni di km dalla Terra il 16 gennaio prossimo, giorno dell’opposizione.
☄️ Ecco come appare la cometa C/2024G3 attraverso un telescopio in pieno giorno, oggi 14 gennaio 2025 dopo il perielio di ieri.
L’ho osservata per circa 90 minuti e ripresa poco prima mezzogiorno da Roma con un dobson da 12″ a 76 ingrandimenti.
È la mia prima visione di una cometa in pieno giorno. Prima dell’alba ho puntato il telescopio sul punto esatto dove sarebbe transitata la cometa alle 10:30 e grazie al cielo sereno e all’ombra del palazzo vicino, a quell’ora me la sono ritrovata direttamente nell’oculare come speravo.
In visuale era chiaramente visibile il finto nucleo, leggermente ovale, luminoso, ma decisamente meno brillante di Venere.Era chiaramente visibile anche la prima parte della coda, corta e densa nella zona vicina al nucleo e poi subito più evanescente. Questo spezzone sembrava inoltre leggermente spostato rispetto all’asse dell’intera coda, ma non ne sono sicuro. Muovendo il telescopio si percepiva la parte della coda più evanescente, dalla lunghezza di circa 20′.
Ho provato alcune volte a cercarla col binocolo 20×80 e con lo zoom della Nikon, ma nulla era visibile, anche se non escludo che con maggiore pazienza si poteva ottenere qualcosa.
OGGI pomeriggio l’ho osservata al binocolo 20×80 subito dopo il tramonto. Ed era abbastanza simile a quanto detto sopra, anche se la parte luminosa sembrava più accentuata mentre il resto della coda meno evidente.
Ad esclusione di Urano e Nettuno, gli altri 5 pianeti rientrano tra quelle poche decine di “stelle” che mostrano chiaramente le loro rispettive sfumature già ad occhio nudo.
Ma dopo aver fotografato le 25 stelle più luminose del cielo e decine e decine di astri telescopici sotto forma di Ghirigori al fine di apprezzare e confrontare meglio le loro sfumature, non potevo che usare questa tecnica anche con i pianeti, soprattutto in questi giorni che si trovano tutti lontani dal Sole e quindi in posizione favorevole per essere osservati e ripresi anche nell’arco di una sola notte.
Attraverso un telescopio dal grande diametro e ad alti ingrandimenti le tonalità dei loro colori appaiono decisamente più intense rispetto alla semplice vista.
E scuotendoli nel campo dell’oculare, le differenti sfumature dei vari dettagli visibili sulla loro superficie – come le bande e le tempeste di Giove, o la calotta polare e i chiaroscuri marziani – si mescolano e fondono meglio tra loro e restituiscono una sfumatura quanto più vicina alla combinazione delle diverse parti, che neppure una semplice “immagine a fuoco” riuscirebbe ovviamente a dare.
🎨 Mettendoli insieme in un unico mosaico si possono meglio confrontare tra loro, così da notare le differenze – difficilmente riscontrabili – tra le sfumature di Venere e Giove e tra quelle di Saturno e Mercurio, e apprezzare invece l’inaspettata somiglianza tra quelle di Urano e Nettuno, proprio come ha recentemente dimostrato uno studio della Oxford University: https://shorturl.at/07lAR
Come accade per le stelle, i loro colori ci dicono qualcosa di oggettivo sui singoli pianeti: sia sulla composizione delle atmosfere dei giganti gassosi, e sia sul suolo di Marte e sull’atmosfera di Venere. Per cui seguirà nel prossimo futuro una descrizione poco più dettagliata su questo tema.
👉 N.B. Per l’occasione la luna che fa da C nel logo del #PictoreCaeli ha una tonalità nuova di blu: l’ho infatti “presa in prestito” dalla famosa immagine #PaleblueDot della #NASA scattata dalla sonda Voyager 1 nel 1990 ed in cui la nostra piccola Terra ripresa a circa 6 miliardi di km di distanza, mostra la sua pallida e singolare sfumatura blu: https://shorturl.at/iekAl
In questo modo in questo mosaico c’è anche il colore della Terra, così come appare dallo spazio.
📷 dobson Sky-Watcher 18″ – 285x and Huawei p30 pro. Parametri differenti. Napoli, 30 – 31 dicembre 2024.
Dal confronto visuale fatto in queste notti tra le sei variabili al carbonio più scarlatte della volta celeste, la STELLA più ROSSA del CIELO – in questo periodo – è:
● V Hydrae, se osserviamo con un binocolo; ● S Cephei, se osserviamo con un telescopio di medie dimensioni; ● U Cygni, se osserviamo con telescopi di grande diametro.
In questo periodo V Hya è così luminosa che le sue sfumature sono facilmente percepibili anche attraverso un binocolo; al contrario R Leporis e V Cygni sono così deboli che anche attraverso un diametro da 18″ le tonalità intensamente rosse che mostrano, restano in visuale decisamente poco apprezzabili.
S Cep è poco meno luminosa di V Hya, ma la supera nell’intensità del colore: chi ha un bel telescopio può ammirare questo tizzone ardente del cielo a qualunque ora della notte perché circumpolare dalle nostre latitudini. Possiamo perciò confrontarla con tutte le altre stelle tutte le notti dell’anno.
Infine, sul punto più alto del podio c’è U Cygni che lascia davvero senza fiato: chi ha un telescopio dal grande diamentro può in questo periodo, osservarla ad Ovest dopo il tramonto e scoprire quanto una stella può essere intensamente rossa.
Al loro confronto il caro “Pianeta Rosso” mostra solo un pallido arancione.
Se prendessi una matita e cominciassi a disegnare sulla faccia della #Luna, quanti risultati differenti potrei ottenere?
Innumerevoli, come dimostra l’infinita serie di interpretazioni e di tradizioni che ruotano attorno a quelle #macchie che riempiono la sua superficie.
È quello che ho provato a sintetizzare in un articolo a tre puntate intitolato “Simile ad un volto” pubblicato su #SpazioMagazine, la rivista di astronautica ed astronomia dell’ ADAA.
Partendo dalle varie interpretazioni dei maggiori filosofi dell’antichità, passo all’ambito popolare dove l’aspetto maculato della Luna assume la fisionomia di Volto e le sembianze di un Uomo dai nomi più strampalati, come #Marcolfo, #Caino, #Bertoldo, Stracciacappa, Pier Borsa, #Bazìn, #Silvàn…
Cara Luna […] i nostri fanciulli dicono che tu veramente hai bocca, naso e occhi come ognuno di loro
,dice Leopardi nel Dialogo della Terra e della Luna. Ma già 2000 anni prima Egesianatte parlava di quel Volto riconoscibile nella Luna in un suo esametro:
Tutta intorno splende di fuoco, in mezzo/più blu dello smalto appare come di fanciulla/un occhio e una leggiadra fronte: davanti sembra simile a un volto
Quell’imperfezione sembrava scardinare la teoria della perfezione del cosmo:
mio caro Aristotele, se fatta di terra la Luna si dimostra un oggetto bellissimo nobile ed elegante, mentre temo che in veste di astro o di luce o corpo divino e celeste essa risulti brutta e deforme e macchi il suo così bel nome
… ed in ambito cristiano si traduce in un effetto creatosi al momento della caduta dei progenitori: un aspetto che contribuì ad identificare quell’Uomo esiliato ed immortalato sulla Luna in un rozzo ladro, che pur vestendo i panni di universale monito morale, finiva per diventare un semplice spauracchio per bambini:
Vedo la Luna vedo le stelle vedo Caino che fa le frittelle
o un modo per identificare gli scocchi creduloni troppo p
ieni di sè, come dimostrano numerose espressioni proverbiali ancora oggi diffuse:
“Me pare Marcoffo int’a Luna” o “Pare Bertoleche ‘m mèzz’ a la luna” o “Te camini come Salvanèlo su la Luna” “C’est comme Bazìn ès l’baite”.
Sono solo alcune delle tracce giunte fino a noi delle innumerevoli tradizioni legate all’Uomo nella Luna o alle altre pareidolie lunari, come ad esempio il “Caino e le Spine” citato nelle opere di Dante o il “Caino ed Abele” immortalati nella Luna dell’abside della Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma ed in alcune rarissime edizioni illustrate della Divina Commedia del XIII e XIV secolo.
I mascheroni visibili su alcuni portoni della cittadina di Pomponesco in provincia di Mantova sono l’ultimissima traccia della leggenda dell’ UOMOnellaLUNA lì popolarmente chiamato: il Silvàn nella Luna.
È quanto aveva scoperto Roberto Roda ricercatore del Centro di Documentazione Storica al Centro etnografico ferrarese nel lontano 1998. Negli ultimi mesi ho avuto più volte l’onore di parlare con lo scopritore di quella leggenda “dimenticata sulla porta” così da sapere – ad oltre 25 anni dalla scoperta – le nuove possibili piste capaci di spiegare il “misteroso” motivo che portò ad immortalare il Silvàn sulla Luna sui portoni di Pomponesco.
Il risultato di quel piacevole scambio di parole è diventato – a mo’ di intervista – il terzo ed ultimo articolo dedicato alle pareidolie visibili nella faccia della Luca pubblicato sulla rivista #SPAZIOmagazine dell’ ADAA.
Ringrazio Marcella Giulia Pace, Darya Kawa daryavaseum e la Biblioteca civica Attilio Hortis per le loro splendide immagini che arricchiscono ulteriormente gli articoli.